Il viaggio ha inizio dalla capitale del Nepal, nella caotica Katmandu,
con un paio di giorni necessari per le pratiche burocratiche e per la
preparazione dei carichi diretti verso il campo base. Da qui con un volo
aereo raggiungiamo la città di Lhasa in Tibet, i giorni seguenti, oltre
che utili per l’adattamento alla quota, sono un interessante giro
turistico attraverso l’antica cultura tibetana con visita ai principali
monasteri buddisti, il Palazzo del Potala sede dei Dalai Lama, il
Monastero del Jokhang, il Monastero del Drepung….. poi si continua
attraverso le due grandi città della regione Gyantse e Xigatse ancora
alla ricerca delle tradizioni e della cultura tibetana ormai in parte
soffocata dalla forte pressione cinese sul paese. Ultima tappa civile
del nostro avvicinamento alla montagna è Tingri, un piccolo centro
abitato, sperduto tra gli altipiani del Tibet, siamo gia ad una quota di
4300 m. Da qui il trasferimento su potenti jeep verso il Campo Base
Cinese è rapido ed in poco più di un ora ci troviamo proiettati dentro
l’Himalaya. Un paio di notti al campo 4800 m. con una veloce puntata di
acclimatamento ai 5600 m. di un picco poco distante, ci consentono un
buon adattamento alle alte quote, da cui poi in due giorni di marcia
raggiungiamo il Campo Base Avanzato, posto sulla morena del ghiacciaio
di Gyabrag ad una quota di 5700 m. Alcuni giorni di riposo e un
escursione fino al campo denominato “Deposito“ ci preparano alla salita
per installare il Campo 1 a 6400 m. da cui in successione, nei giorni
seguenti installiamo anche il Campo 2 a 7040 m. In seguito una settimana
di tempo molto incerto e decisioni errate ci ostacolano nella
preparazione del Campo 3 che avrebbe dovuto essere posizionato a 7450 m.
Seguendo per quanto possibile le previsioni del tempo attraverso un
telefono satellitare, intuiamo che la finestra di bel tempo è attesa per
il 21 maggio, per tanto ci prepariamo a sfruttarla. Il 19 saliamo al
campo 1 dove passiamo la notte, il 20 è molto brutto con nevicate
intermittenti fino ai 6000 metri, quindi rimaniamo fermi, nella notte il
cielo si rasserena ed il 21 saliamo ai 7040 m. del campo 2, tutti
tranne Stefano che evidentemente non è in forma e si ferma a 6800 m..
Passiamo le poche ore che ci separano dalla partenza verso la vetta,
chiusi in tenda, fondendo neve per procurarci i liquidi necessari. Sono
le dieci, di sera usciamo dai sacchi a pelo ci vestiamo, alle 11
cominciamo a salire lentamente verso il Campo 3; quasi subito, Daniele,
è il primo che “molla”, non si sente bene e ritorna in tenda, altri 100
metri e anche i trentini abbandonano, sono stanchi e poco in forma,
purtroppo stiamo raccogliendo i risultati di un cattivo acclimatamento,
le cui regole sono state dettate più dall’improvvisazione che dalla
razionalità. Rimango solo, ma non mi passa nemmeno per la testa l’idea
di tornare indietro, voglio andare in vetta, la giornata seguente si
preannuncia perfetta, l’unico problema è che il vento ha cancellato le
tracce di quelli che il giorno prima sono saliti al Campo3, per cui devo
battere pista nella neve fonda, sprofondando mediamente fin sopra la
caviglia, cosa che sulle Alpi potrebbe far sorridere ma vicino ai 7500
metri ti cambia la vita. In circa 4 -5 ore raggiungo il Campo 3 posto
sulla dorsale, chiedo ospitalità a Walter, un italiano di Pinerolo, che
il giorno prima in compagnia di due Sherpa ha raggiunto la vetta, e mi
infilo come posso nella loro tenda (in 4 nello spazio da tre) Mi riposo
una buona ora in attesa che qualcuno degli alpinisti che ha dormito nel
campo passi avanti a batter traccia, ma nessuno si muove, nessuno vuole
faticare per gli altri, ed è così che mi stufo e riprendo a salire,
subito sono seguito da 3 russi, 2 olandesi più qualcuno altro…..
rapidamente diversi cedono e ci troviamo in tre sotto la fascia gialla a
7600 m.; il sottoscritto e due alpinisti Russi di cui uno già dal campo
3 fa uso di ossigeno. A questo punto, utilizzando tutti e due ossigeno,
velocemente mi sorpassano poco prima di attaccare le corde fisse della
fascia rocciosa. Evitando anche qualche pietra volante, percorro dietro
di loro i circa 200 metri attrezzati con le corde, giunti ai 7800 m. il
terreno si appoggia e si riprende a camminare, i Russi che già mi
avevano distanziato, partono a passo spedito (utilizzando l’ossigeno
“sono” a 6000 m. senza sei ad 8000….) ed in poco mi spariscono dalla
vista. Con grande entusiasmo percorro ancora 200 m, toccando gli 8000…
poi con le forze sempre più scarse, percorro il nevaio cosiddetto
“Dell’Occhio” raggiungendo l’anticima del Cho Oyo., qui le forze mi
svaniscono del tutto e mi rendo conto di non farcela più, ripetutamente
faccio diverse misure di quota con il GPS, capisco che sono intorno agli
8100 mt. insisto ancora per una buona ora, ma il dislivello percorso è
minimo, mi fermo e rimango a lungo seduto nella neve. Ancora qualche
misura di quota, il GPS mi conferma un bel 8124 metri, sono sfinito ma
perfettamente lucido….. sebbene a malincuore decido di scendere….
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